A me quelli che dicono di aver incominciato a fotografare con la pellicola mi fanno un po' ridere. Tipo dicono "eh già, che bei tempi quelli della pellicola" o ancora "quando fotografavo a pellicola ci mettevo passione" oppure "mi ricordo che andavo in laboratorio ed era ogni volta un'emozione" infine "facevo tutto a pellicola, poi è diventato molto costoso". Per me è una cazzo di appropriazione di un mondo che non hanno vissuto. Intendiamoci, non sto parlando dei quarantenni, cinquantenni e oltre, che anagraficamente appartengono ancora a quel supporto, ma di tanti trentenni abbondanti come me, o addirittura di ventenni verso i trenta. Cioè, quando andavate al mare facevate fotografie con le Kodak ai vostri amici, a vostra nonna e ai vostri piedi, ma non facevate lavori fotografici, e con lavori non intendo lavori per forza pagati, ma di qualsiasi tipo, dal paesaggino fino al reportage, anche per solo piacere personale.
Non mi fido, mi puzza di bufala. Sarà il mio nome, che mi porta ad essere diffidente, o siete voi che raccontate cazzate per agganciare qualche minorenne che si lascia affascinare dalle vostre stronzate. Per me è più probabile la seconda.
Credo che sia molto più realistico che a ventidue venticinque anni avete giocato con le macchinette digitali e poi a forza di fare click a raffica vi siete stufati, ed avete cominciato a scattare a pellicola perchè faceva posh, hipster, radical sti cazzi o come vi pare, e comunque vi affascinava (ve lo concedo). L'ho fatto anch'io, l'han fatto tutti.
Poi è anche vero che ci sono le eccezioni, e allora mi viene in mente la mia amica Elena, che si era fatta regalare una reflex e scattava un sacco di rulli, e io un po' pensavo che fosse una passione noiosa, invece poi eccomi con la macchina fotografica sempre in mano. Oppure
Fabio, un amico fotografo, che fa il fotografo da quando ha diciotto anni. Per concludere questa arringa, termino col dire, che noi nati indicativamente dal 1977 in poi siamo fotografi digitali, e non bisogna vergognarsene, però è un atto dovuto ai fotografi "di una volta" e soprattutto a noi stessi. Oltretutto,secondo me, non c'è cosa più bella che essere contemporanei, persone del proprio tempo. Caro vintage mi hai rotto le palle!
Questo trattato pretenziosamente "sociofotografico" per dire che,il mio primo lavoro fotografico, che considero importante, l'ho fatto a pellicola e avevo diciassette diciotto anni. L'ho fatto inconsapevolmente, ma l'ho fatto.
Era il primo o il due agosto 1997, avevo spaccato i maroni a papà da un mese abbondante per farmi andare in vacanza con i miei amici, ma nulla, non ne voleva sapere. "Non mi fido e bla bla bla, chissà con chi vai", e le solite storie del cacchio. Ogni giorno la stessa storia, sempre la stessa risposta. Che poi dico io, con chi dovevo andare se non con il mio compagno di classe che conosci da anni e stimi, e qualche altro amico capellone che conoscevi di meno, in ogni caso tutte brave persone. Insomma papà avevi paura che diventassi grande anch'io e soprattutto che mi fumassi qualche canna.
Il giorno stesso della partenza, il quattro agosto, mi dice che posso andare. Misteri dei genitori, spaccare le palle per un mese e poi dirti vabbè hai sofferto abbastanza ora vai pure.
L'appuntamento per la partenza era alle due di pomeriggio ai piedi della statua "
Monumento alla Bella Italia" in piazza della Loggia e io mi ero presentato con il mio vecchio, come un bambino accompagnato a scuola, che evidentemente voleva dare un'occhiata ai personaggi con cui sarei partito. E' stato un po' umiliante, però ora la cosa mi fa sorridere e va bene così.
Questa serie, che poi mi perdo sempre, l'ho scattata con l'Agfa Silette II di papà, che appassionato di fotografia non era, ma evidentemente se l'era comprata perchè in ogni casa c'era una fotocamera. Macchina complicata l'
Agfa Silette II: niente esposimetro, nessun automatismo. Di fotografare non me ne fregava nulla, e così fu per altri sette otto anni. Mi interessavano semplicemente delle foto ricordo e andai dal fotografo che me la impostò al minimo per scattare con luce piena.
La particolarità di questo rullino...? L'ho fatto sviluppare otto anni dopo! Già, tornato dal mare avevo tirato fuori l'Agfa dal borsone e l'ho dimenticata in qualche cassetto fino a che fotografare divenne una passione.
Ecco il risultato di un rullino rimasto nella fotocamera per parecchi anni.
Avevamo preso il traghetto per la Sardegna da Genova in direzione Porto Torres. Finalmente l'agognata meta meritata non era più un miraggio e sarei andato in campeggio, che per i miei era praticamente una parola sconosciuta.
La prima foto. Bella storta lei, tramonto in partenza da Genova, tempi lunghi più del necessario, mossa, sbagliata insomma.

La seconda immagine è quella venuta meglio, quasi a fuoco. Credo l'abbia scattata un ragazzo del gruppo di cui non so il nome, ricordo però che aveva la barba incolta, un precursore degli attuali hipsters (quanto siete ridicoli). Non avevo dormito quasi nulla quella notte, il mio viso gonfio racconta per bene la serata. Ero stato fino alle tre abbondanti a giocare con i videgiochi nella saletta del traghetto, potevo sputtanare tutti i soldi che volevo, non come la paghetta per andare all'oratorio che poi finiva. Poi son risalito e subito dopo essermi messo sotto il sacco a pelo mi sono accorto di non avere il portafogli che papà mi aveva raccomandato cinquanta volte di tenerlo nella tasca dei jeans davanti "mi raccomando non dietro altrimenti te lo fai fregare". E ho iniziato ad agitarmi, avevo tutti quei maledetti soldi per la vacanza nel portafogli; novecentocinquantamila lire e non ho mai capito perchè il vecchio non mi avesse dato un milione, forse gli sembravano troppi per un ragazzino. Sveglio Vitto mentre dormiva prodondamente, gli spiego la situazione e lui mi urla addosso "imbecille vai dov'eri e trova quel cazzo di portafogli, altrimenti domani ti dò i soldi per il biglietto del ritorno e te ne torni a casa". Corro come un matto in sala giochi e trovo il portafogli ancora affianco alla manopola del videogame in cui avevo buttato una decina di cinquecento lire, e il marinaio in turno, con aria beffarda mi dice "eh sei fortunato che non è passato nessuno altrimenti non l'avresti ritrovato". Ricordo ancora quell'incazzatura del mio amico come se fosse ieri, ma più come se fosse un rimprovero paterno o di un fratello maggiore, non con menefreghismo, come a dire "sei voluto venire in vacanza da solo, allora svegliati!". Ho sempre voluto un fratello più grande, non una sorella.

Poi in quest'altra foto ci sono ancora io, probabilmente scattata dal personaggio di prima. Non ho nemmeno la barba a quasi diciott'anni, sono assonnato. Cazzo se ero sfigatino e bambino rispetto ai miei coetanei, con la magliettina azzurrino pigiamino. Però sono io e mi piace rivedermi così, perchè poi guarda un po', tanti di quelli che facevano i fighi a scuola, ho scoperto poi essere diventati gli sfigati da grandi.
Qui il mio piccolo capolavoro, il mio amico Vitto e la sua migliore amica in un abbraccio. Io lei non la conoscevo bene, e non capivo cosa ci potesse essere tra loro, ma in realtà si conoscevano da una vita, c'era solo amicizia. L'atmofera è un po' (paragone azzardatissimo) tipo di quel genio di
Ryan McGinley, che racconta la gioventù e spensieratezza americana, qui invece è decisamente più nostrana.

Comunque. Scesi a Porto Torres, prendiamo il treno per Cagliari e non c'è un cacchio di posto. Visto che siamo in otto, il controllore ci stipa nel vagone postale. Viaggio infernale su sto treno a diesel che ringrazi dio che non ci sono gallerie. Sul treno, Diego vede che non ho gli occhiali da sole e me ne regala un paio che aveva in più, abbastanza improbabili, un po' grandi per me. E' un sacco che non vedo Dieghino, una persona estremamente generosa. Sta di fatto che mi sporgo fuori al finestrino del treno in corsa per prendere aria e gli occhiali puff se ne volano giù tra i binari. Durati dieci minuti, ho ancora in mente le facce di tutti che ridevano e mi prendevano per il culo.

La parte vera della vacanza è stata stupenda, ogni sera potevamo fare tardi quanto volevamo, potevamo sbronzarci e nessuno ci controllava. Diciotto giorni che mi sono sembrati paradiso. Tutto quello che un genitore non vuole vederti fare, ma sa che prima o poi farai. Di giorno mare stupendo, ero già stato in Sardegna, ma mai a sud. Non c'era uno stabilimento balneare, ora è pieno di chioschi dell'Algida e vari. La media dei pasti era pane e mozzarella e pomodoro, l'importante era risparmiare per le birrette serali. La sera feste in spiaggia, e alla fine mi addormentavo sulla sabbia gelida. Mi portavo l'asciugamano che usavo come coperta, ma qualcuno regolarmente me lo fregava. Finivo col svegliarmi nel mezzo della notte dove che aver rantolato come un idrofobo al freddo.
Questi due, sono ragazzi che avevo conosciuto tra un mirto e l'altro al bar del campeggio, erano una coppia. Lui mi stava simpatico e mi ha "iniziato" alla musica elettronica, ho scoperto la parola "jungle" grazie a lui. Era anche uno skater e mi stava doppiamente simpatico. Lei carina, mi piaceva un po', e quando ci sfidavamo a biliardino mi mettevo sempre di fronte e le mandavo occhiate flirtanti che naturalmente non andavano a buon segno. Erano davvero innamorati, ho scoperto poi che si sono lasciati, c'est la vie.
Qui un'altra bella fotaccia... Erano le otto di sera e non c'era nessuno in spiaggia e ci buttavamo in acqua come delle bestie, come se il mare fino alla montagna e all'orizzonte fosse di nostra proprietà. Un paio di volte il bagno nudi e sembrava una trasgressione galattica.

E poi la fine della vacanza con la piazzola piena di vestiti, sacchi a pelo, tende ecc..cose da sistemare per il ritorno. Sulla sinistra c'è un'idrante rosso, la sera era illuminato da un lampione, e lo tenevo come punto di riferimento per tornare in tenda. Nel buio totale, mentre rientravamo, capitava di sentire le coppiette che trombavano in roulotte o camper e noi ragazzi ridevamo come dei matti a sentire i gemiti soffocati delle donne. Poi andavamo a lavarci i denti, ci sputavamo tra di noi con il dentifricio e una volta l'abbiamo fatto su una ventina di specchi dei bagni per dispetto alla proprietaria del campeggio che un po' ci odiava. Il giorno dopo avevo un certo senso di colpa, perchè l'unica ad aver "pagato" era la signora delle pulizie che aveva pulito e si era trovata ulteriore lavoro per colpa di cinque idioti. C'è purtroppo una grande verità: nella filiera dei lavoratori, i più deboli, anziché essere tutelati, sono quasi sempre quelli che lo prendono nel culo.

E infine un'altra foto di me. Questa è stata scattata nello stesso rullino, ma sette o otto anni dopo la vacanza. Era rimasta qualche posa e avevo fatto questa foto prima di portare i negativi in laboratorio. Un autoscatto allo specchio, uno di quelli ora chiamano selfies. Che cazzo di nome di merda. Ho l'aria meno sfigatina, qui ho venticinque anni contro i diciassette delle foto sopra. Ho il mio ciuffo carino e il naso non sembra più grosso della faccia come prima, ho anche un po' di barba. Però dietro sull'armadio, ci sono gli stessi peluche di camera mia che mia mamma toglieva solo quando li metteva a lavare "Mamma mi hanno sempre fatto cagare quei peluche".
Come vedete è stata una bella vacanza, ovviamente sono tutte esperienze più o meno banali che la stragrande maggioranza dei ragazzi e ragazze hanno vissuto a quell'età, però in alcuni momenti mi butto a pesce nella nostalgia più pura, e le foto mi aiutano a ricordare momenti ormai lontani.
Tutta questa storiella stile tema delle elementari "La mia prima vacanza con gli amici", per dire che qualsiasi foto, non conta quanto sia dritta, mossa, nitida, a fuoco, ecc..., ma conta solo cosa e quanto evoca, quanto ti dà. E se riesce a raccontare qualcosa a qualcun altro oltre che a te, diventa una foto interessante.