giovedì 13 febbraio 2014

ETERNITY NOW, indagini su Venezia contemporanea...un annetto e mezzo dopo.

Ho realizzato questo mini progetto fotografico circa un anno e mezzo fa. Visto che devo riempire il blog, lo tiro fuori. Mi sono addirittura dato la regola di realizzare un post a settimana (grazie amico di trovareunlavoro.it che mi fai un po' da coach, tra una birretta e l'altra. A volte ne ho bisogno)  

Parla di Venezia, non la solita, con canali, chiese, maschere e vicoli. L'ispirazione non l'ho avuta spontaneamente, ma è arrivata grazie alla partecipazione ad un workshop che aveva come tema "ETERNITY NOW, indagini su Venezia contemporanea”. Il tutto organizzato stupendamente da Landscape Stories magazine on line di fotografia, e supervisionato da Massimo Siragusa, affermatissimo artista di livello internazionale, che ha vinto non uno, ma quattro World Press Photo, che sono i riconoscimenti più importanti al mondo in ambito fotografico, un po' come gli Oscar o il Festival di Cannes per il cinema.

In soli tre giorni ho conosciuto splendide persone, tutte ovviamente appassionatissime di fotografia. Per quanto riguarda il tema, c'è chi ha fotografato giardini interni di abitazioni veneziane (eh già, ci sono case pure con il giardino in pieno centro a Venezia...), chi ha fermato turisti e li ha ritratti, chi ha metafotografato, chi i commercianti ecc.. io mi sono concentrato sull'architettura moderna/contemporanea veneziana, materia che non ho mai studiato, ma alla quale mi sono avvicinato anche e soprattutto per ragioni sentimentali. Roba davvero difficile da trovare, questo tipo di edifici, se non sei un lagunare doc. Quello che ho voluto sottolineare è che anche i veneziani vanno all'Inps, che anche a Venezia ci sono le case popolari, che ci sono posti visivamente mediocri e che gli abitanti sono un po' stufi dei turisti. Sarà per il mio senso estetico distorto o perchè mi sento più affine alla working class, ma mi vedo di più tra questi luoghi che non nella bellissima piazza San Marco e a Rialto. Sono proiettato più vicino alle periferie di Glasgow (che non ho mai visto), che al centro di Londra, almeno come idea, poi viverci è un'altra cosa. 

Il bello di partecipare ad un workshop di questo livello è che capisci cosa funziona e cosa no nelle tue foto, e se non ci fosse un maestro a insegnartelo, spesso sbaglieresti. Esempio: la terza foto l'avrei voluta scartare, non mi piaceva proprio, e avrei voluto tenerne un'altra che secondo me era più bella. Ma Massimo Siragusa mi ha assolutamente consigliato di tenerla, perchè racconta la Venezia che cercavo, e poi ci sono sia architetture contemporanee, sia il tipico canale dal quale si riconosce che è una foto scattata in laguna. Uno sguardo esterno autorevole è spesso fondamentale per fare un buon lavoro.

Funziona così: decidi il progetto, scarpini come un matto e scatti milletrecento foto in due giorni scarsi. Ti perdi continuamente e ti viene la scimmia che non riesci a trovare il carcere che tanto desideravi vedere. Scegli cinquanta immagini tu e lui ti aiuta a cestinarne  altre quaranta, e altre cinque ancora, alla fine te ne rimangono cinque o sei. Sembra facile, ma credetemi è bella una lotta tra quello che vorresti tu e tra ciò che DEVE funzionare per potersi dire progetto interessante. Il tutto deve avvenire senza pietà, perchè non bisogna raccontarsi cazzate, una foto funziona o non funziona. 

Ma siamo anche andati tutti insieme a cena a strafogarci e a conoscerci meglio in un bel posticino di cui non ricordo il nome.

Butto dentro l'aneddoto del post, mi piacciono tanto gli aneddoti. Un annetto prima del workshop in questione, ero stato, a 35 km di distanza da Brescia, a casa di un ragazzo che non conoscevo, da cui ho acquistato un'ottica decentrabile, dopo esserci sentiti su Subito.it o Ebay Annunci. Tipo simpatico mi son detto, gli piacciono le foto di Basilico. Non l'ho più rivisto successivamente. E dove me lo ritrovo? Al workshop di Landscape Stories. Carramba! E pensare che prima di partire, una delle “paranoie” era, non conoscerò nessuno e bla bla bla. L'aneddoto non è finito. Non lo vedo più per un anno dopo Venezia e dove lo rincontro?  Fuori dal mio lavoro stra preso con cavallettone e tilt shift a fotografare un paesaggio urbano bresciano...ciao Nicola! Ricarramba!

Infine, ho realizzato una breve sinossi in cui racconto la serie in modo che potesse essere pubblicata sul blog di Landscape Stories nella sezione workshop. Sembro quasi un intellettualone da Smemoranda quando provo a scrivere così. Il titolo è "Fuori luogo", forse un po' banale, ma credo riesca ad esprimere il lavoro senza tanti fronzoli.

Fuori luogo

Il senso di non appartenenza delle architetture moderne e contemporanee  veneziane ad un contesto consolidato da secoli. La volontà di un cambiamento radicale, probabilmente mal riuscito, forse necessario. Segnali di modernizzazione per sentirsi “come gli altri” nelle altre città. Messaggi estetici nuovi, per dire forse, che i veneziani sono un po’ stufi di Venezia “Grande parco giochi aperto 24 ore 365 giorni all’anno".













Se siete interessati a Venezia come ho cercato di raccontarla io, suggerisco questo delizioso e ironico libretto di Enrico Tantucci, A che ora chiude Venezia?  dalla collana "Occhi aperti su Venezia", qui tutti i titoli disponibili editi da Corte del Fòntego














mercoledì 5 febbraio 2014

Il primo rullino non si scorda mai

A me quelli che dicono di aver incominciato a fotografare con la pellicola mi fanno un po' ridere. Tipo dicono "eh già, che bei tempi quelli della pellicola" o ancora "quando fotografavo a pellicola ci mettevo passione" oppure "mi ricordo che andavo in laboratorio ed era ogni volta un'emozione" infine "facevo tutto a pellicola, poi è diventato molto costoso". Per me è una cazzo di appropriazione di un mondo che non hanno vissuto. Intendiamoci, non sto parlando dei quarantenni, cinquantenni e oltre, che anagraficamente appartengono ancora a quel supporto, ma di tanti trentenni abbondanti come me, o addirittura di ventenni verso i trenta. Cioè, quando andavate al mare facevate fotografie con le Kodak ai vostri amici, a vostra nonna e ai vostri piedi, ma non facevate lavori fotografici, e con lavori non intendo lavori per forza pagati, ma di qualsiasi tipo, dal paesaggino fino al reportage, anche per solo piacere personale.
Non mi fido, mi puzza di bufala. Sarà il mio nome, che mi porta ad essere diffidente, o siete voi che raccontate cazzate per agganciare qualche minorenne che si lascia affascinare dalle vostre stronzate. Per me è più probabile la seconda.
Credo che sia molto più realistico che a ventidue venticinque anni avete giocato con le macchinette digitali e poi a forza di fare click a raffica vi siete stufati,  ed avete cominciato a scattare a pellicola perchè faceva posh, hipster, radical sti cazzi o come vi pare, e comunque vi affascinava (ve lo concedo). L'ho fatto anch'io, l'han fatto tutti.

Poi è anche vero che ci sono le eccezioni, e allora mi viene in mente la mia amica Elena, che si era fatta regalare una reflex e scattava un sacco di rulli, e io un po' pensavo che fosse una passione noiosa, invece poi eccomi con la macchina fotografica sempre in mano. Oppure Fabio, un amico fotografo, che fa il fotografo da quando ha diciotto anni. Per concludere questa arringa, termino col dire, che noi nati indicativamente dal 1977 in poi siamo fotografi digitali, e non bisogna vergognarsene, però è un atto dovuto ai fotografi "di una volta" e soprattutto a noi stessi. Oltretutto,secondo me, non c'è cosa più bella che essere contemporanei, persone del proprio tempo. Caro vintage mi hai rotto le palle!

Questo trattato pretenziosamente "sociofotografico" per dire che,il mio primo lavoro fotografico, che considero importante, l'ho fatto a pellicola e avevo diciassette diciotto anni. L'ho fatto inconsapevolmente, ma l'ho fatto.

Era il primo o il due agosto 1997, avevo spaccato i maroni a papà da un mese abbondante per farmi andare in vacanza con i miei amici, ma nulla, non ne voleva sapere. "Non mi fido e bla bla bla, chissà con chi vai", e le solite storie del cacchio. Ogni giorno la stessa storia, sempre la stessa risposta. Che poi dico io, con chi dovevo andare se non con il mio compagno di classe che conosci da anni e stimi, e qualche altro amico capellone che conoscevi di meno, in ogni caso tutte brave persone. Insomma papà avevi paura che diventassi grande anch'io e soprattutto che mi fumassi qualche canna.

Il giorno stesso della partenza, il quattro agosto, mi dice che posso andare. Misteri dei genitori, spaccare le palle per un mese e poi dirti vabbè hai sofferto abbastanza ora vai pure.
L'appuntamento per la partenza era alle due di pomeriggio ai piedi della statua "Monumento alla Bella Italia" in piazza della Loggia e io mi ero presentato con il mio vecchio, come un bambino accompagnato a scuola, che evidentemente voleva dare un'occhiata ai personaggi con cui sarei partito. E' stato un po' umiliante, però ora la cosa mi fa sorridere e va bene così.

Questa serie, che poi mi perdo sempre, l'ho scattata con l'Agfa Silette II di papà, che appassionato di fotografia non era, ma evidentemente se l'era comprata perchè in ogni casa c'era una fotocamera. Macchina complicata l'Agfa Silette II: niente esposimetro, nessun automatismo. Di fotografare non me ne fregava nulla, e così fu per altri sette otto anni. Mi interessavano semplicemente delle foto ricordo e andai dal fotografo che me la impostò al minimo per scattare con luce piena.

La particolarità di questo rullino...? L'ho fatto sviluppare otto anni dopo! Già, tornato dal mare avevo tirato fuori l'Agfa dal borsone e l'ho dimenticata in qualche cassetto fino a che fotografare divenne una passione.

Ecco il risultato di un rullino rimasto nella fotocamera per parecchi anni.

Avevamo preso il traghetto per la Sardegna da Genova in direzione Porto Torres. Finalmente l'agognata meta meritata non era più un miraggio e sarei andato in campeggio, che per i miei era praticamente una parola sconosciuta.

La prima foto. Bella storta lei, tramonto in partenza da Genova, tempi lunghi più del necessario, mossa, sbagliata insomma.


La seconda immagine è quella venuta meglio, quasi a fuoco. Credo l'abbia scattata un ragazzo del gruppo di cui non so il nome, ricordo però che aveva la barba incolta, un precursore degli attuali hipsters (quanto siete ridicoli). Non avevo dormito quasi nulla quella notte, il mio viso gonfio racconta per bene la serata. Ero stato fino alle tre abbondanti a giocare con i videgiochi nella saletta del traghetto, potevo sputtanare tutti i soldi che volevo, non come la paghetta per andare all'oratorio che poi finiva. Poi son risalito e subito dopo essermi messo sotto il sacco a pelo mi sono accorto di non avere il portafogli che papà mi aveva raccomandato cinquanta volte di tenerlo nella tasca dei jeans davanti "mi raccomando non dietro altrimenti te lo fai fregare". E ho iniziato ad agitarmi, avevo tutti quei maledetti soldi per la vacanza nel portafogli; novecentocinquantamila lire e non ho mai capito perchè il vecchio non mi avesse dato un milione, forse gli sembravano troppi per un ragazzino. Sveglio Vitto mentre dormiva prodondamente, gli spiego la situazione e lui mi urla addosso "imbecille vai dov'eri e trova quel cazzo di portafogli, altrimenti domani ti dò i soldi per il biglietto del ritorno e te ne torni a casa". Corro come un matto in sala giochi e trovo il portafogli ancora affianco alla manopola del videogame in cui avevo buttato una decina di cinquecento lire, e il marinaio in turno, con aria beffarda mi dice "eh sei fortunato che non è passato nessuno altrimenti non l'avresti ritrovato". Ricordo ancora quell'incazzatura del mio amico come se fosse ieri, ma più come se fosse un rimprovero paterno o di un fratello maggiore, non con menefreghismo, come a dire "sei voluto venire in vacanza da solo, allora svegliati!". Ho sempre voluto un fratello più grande, non una sorella.


Poi in quest'altra foto ci sono ancora io, probabilmente scattata dal personaggio di prima. Non ho nemmeno la barba a quasi diciott'anni, sono assonnato. Cazzo se ero sfigatino e bambino rispetto ai miei coetanei, con la magliettina azzurrino pigiamino. Però sono io e mi piace rivedermi così, perchè poi guarda un po', tanti di quelli che facevano i fighi a scuola, ho scoperto poi essere diventati gli sfigati da grandi.


Qui il mio piccolo capolavoro, il mio amico Vitto e la sua migliore amica in un abbraccio. Io lei non la conoscevo bene, e non capivo cosa ci potesse essere tra loro, ma in realtà si conoscevano da una vita, c'era solo amicizia. L'atmofera è un po' (paragone azzardatissimo) tipo di quel genio di Ryan McGinley, che racconta la gioventù e spensieratezza americana, qui invece è decisamente più nostrana.


Comunque. Scesi a Porto Torres, prendiamo il treno per Cagliari e non c'è un cacchio di posto. Visto che siamo in otto, il controllore ci stipa nel vagone postale. Viaggio infernale su sto treno a diesel che ringrazi dio che non ci sono gallerie. Sul treno, Diego vede che non ho gli occhiali da sole e me ne regala un paio che aveva in più, abbastanza improbabili, un po' grandi per me. E' un sacco che non vedo Dieghino, una persona estremamente generosa. Sta di fatto che mi sporgo fuori al finestrino del treno in corsa per prendere aria e gli occhiali puff se ne volano giù tra i binari. Durati dieci minuti, ho ancora in mente le facce di tutti che ridevano e mi prendevano per il culo.


La parte vera della vacanza è stata stupenda, ogni sera potevamo fare tardi quanto volevamo, potevamo sbronzarci e nessuno ci controllava. Diciotto giorni che mi sono sembrati paradiso. Tutto quello che un genitore non vuole vederti fare, ma sa che prima o poi farai. Di giorno mare stupendo, ero già stato in Sardegna, ma mai a sud. Non c'era uno stabilimento balneare, ora è pieno di chioschi dell'Algida e vari. La media dei pasti era pane e mozzarella e pomodoro, l'importante era risparmiare per le birrette serali. La sera feste in spiaggia, e alla fine mi addormentavo sulla sabbia gelida. Mi portavo l'asciugamano che usavo come coperta, ma qualcuno regolarmente me lo fregava. Finivo col svegliarmi nel mezzo della notte dove che aver rantolato come un idrofobo al freddo.

Questi due, sono ragazzi che avevo conosciuto tra un mirto e l'altro al bar del campeggio, erano una coppia. Lui mi stava simpatico e mi ha "iniziato" alla musica elettronica, ho scoperto la parola "jungle" grazie a lui. Era anche uno skater e mi stava doppiamente simpatico. Lei carina, mi piaceva un po', e quando ci sfidavamo a biliardino mi mettevo sempre di fronte e le mandavo occhiate flirtanti che naturalmente non andavano a buon segno. Erano davvero innamorati, ho scoperto poi che si sono lasciati, c'est la vie.


Qui un'altra bella fotaccia... Erano le otto di sera e non c'era nessuno in spiaggia e ci buttavamo in acqua come delle bestie, come se il mare fino alla montagna e all'orizzonte fosse di nostra proprietà. Un paio di volte il bagno nudi e sembrava una trasgressione galattica.


E poi la fine della vacanza con la piazzola piena di vestiti, sacchi a pelo, tende ecc..cose da sistemare per il ritorno. Sulla sinistra c'è un'idrante rosso, la sera era illuminato da un lampione, e lo tenevo come punto di riferimento per tornare in tenda. Nel buio totale, mentre rientravamo, capitava di sentire le coppiette che trombavano in roulotte o camper  e noi ragazzi ridevamo come dei matti a sentire i gemiti soffocati delle donne. Poi andavamo a lavarci i denti, ci sputavamo tra di noi con il dentifricio e una volta l'abbiamo fatto  su una ventina di specchi dei bagni per dispetto alla proprietaria del campeggio che un po' ci odiava. Il giorno dopo avevo un certo senso di colpa, perchè l'unica ad aver "pagato" era la signora delle pulizie che aveva pulito e si era trovata ulteriore lavoro per colpa di cinque idioti. C'è purtroppo una grande verità: nella filiera dei lavoratori, i più deboli, anziché essere tutelati, sono quasi sempre quelli che lo prendono nel culo.


E infine un'altra foto di me. Questa è stata scattata nello stesso rullino, ma sette o otto anni dopo la vacanza. Era rimasta qualche posa e avevo fatto questa foto prima di portare i negativi in laboratorio. Un autoscatto allo specchio, uno di quelli ora chiamano selfies. Che cazzo di nome di merda. Ho l'aria meno sfigatina, qui ho venticinque anni contro i diciassette delle foto sopra. Ho il mio ciuffo carino e il naso non sembra più grosso della faccia come prima, ho anche un po' di barba. Però dietro sull'armadio, ci sono gli stessi peluche di camera mia che mia mamma toglieva solo quando li metteva a lavare "Mamma mi hanno sempre fatto cagare quei peluche".


Come vedete è stata una bella vacanza, ovviamente sono tutte esperienze più o meno banali che la stragrande maggioranza dei ragazzi e ragazze hanno vissuto a quell'età, però in alcuni momenti mi butto a pesce nella nostalgia più pura, e le foto mi aiutano a ricordare momenti ormai lontani.

Tutta questa storiella stile tema delle elementari "La mia prima vacanza con gli amici", per dire che qualsiasi foto, non conta quanto sia dritta, mossa, nitida, a fuoco, ecc..., ma conta solo cosa e quanto evoca, quanto ti dà. E se riesce a raccontare qualcosa a qualcun altro oltre che a te, diventa una foto interessante. 
























lunedì 27 gennaio 2014

Foto investigatore per un istante (per caso)

Il 3 gennaio 2013, appena uscito dal lavoro, con la mia tredicesima in mano e un po' di senso di colpa, sono andato in un negozio di fotografia a Brescia, e mi sono comprato la Fuji X-E1, il giorno stesso in cui è stata distribuita. Non voglio  fare pubblicità  a questo store, perchè non sono simpatici. Classici commercianti che quando spendi tanto, ti leccano il culo per bene, e quando vai a sviluppare un rullino da quattro euro sembra che ti stiano facendo un piacere. Se stampate, sviluppate ecc.., a Brescia vi consiglio Cominelli in via Gramsci, persone educate e Veramente gentili.

C'è stata una fase della mia vita, neanche troppo lontana, in cui mi sarebbe piaciuto formare una band alla "CCCP fedeli alla linea" con i miei amici Paolo ed Enrico, e avevo scritto una strofa che fa così "Il commerciante saluta solo quando compro, quando compro in saldo mi saluta a metà". L'unica strofa che ho scritto.. Il progetto si è inabissato dopo due aperitivi o giù di lì, nessuno di noi sapeva suonare una chitarra o un basso.

Sta di fatto che sono uscito dal negozio con la nuova macchina fotografica in mano già disimballata , e ovviamente ho iniziato a scattare, non vedevo l'ora di vedere le immagini a schermo per ammirare la risoluzione di questa mirrorless. Foto a via Solferino, via XX Settembre, il traffico, il parco con la statua di Zanardelli. Poi salgo sul cavalcavia Kennedy diretto verso la mia francesina.

Arrivo a casa e scarico le immagini sul computer. Con sguardo ardito e fiero guardo questi pixel stupendi, pieni di tonalità di gamma e godo nel vedere che i colori ricordano tanto quelli della pellicola, il poco rumore ad alta sensibilità e bla bla bla; tutte caratteristiche, che a quanto pare, riescono a notare solo i fissati di fotocamere; performances di cui non ho intenzione di parlare in questo blog, perchè sono cose che diventano noiose alla terza riga.
Le foto non sono un granchè, ma una mi piace, ha tanti colori e un bel tramonto, è la penultima della serie dei mie venti minuti di foto guerrilla. Cancello le altre e mi concentro su questa.


Una foto che potrebbe essere una foto qualunque, scattata da chiunque, con dei bei colori, ombre e luci. Il Kennedy lo faccio a piedi ormai da anni, ma tutt'ora me lo esploro per bene, mi affascina molto e si respira aria buona, sa un po' di pollo arrosto.
Ad un primo momento nulla di strano: un cielo pieno di nuvole rosa, un treno, l'edificio delle poste e poco altro. Ma cacchio c'è qualcosa che non mi convince.

Ad un certo punto, scendo verso l'angolo destro in basso e cosa vedo? ta daaa!!


Ecco due soggetti poco raccomandabili, secondo me spacciatori da stazione, che si stanno palesemente nascondendo da qualcuno. Non hanno via d'uscita nè sul lato dei binari, nè sulla loro sinistra.
La foto allora diventa più interessante, la fotina diventa foto e sempra anche un po' il gioco trova l'intruso della "Settimana Enigmistica". Mi piacciono sempre le super foto, quelle che quando le guardi al primo istante dici "cacchio che bella!", ma mi piace anche che a volte sia un dettaglio a fare la foto.
Sembra banale, ma è davvero incredibile quante storie potrebbero raccontare quei tizi con il corpo teso al muro.
Stavano giocando semplicemente a nascondino e io mi son fatto un loop galattico? Stavano scappando dalle forze dell'ordine? Che vita di merda fanno quei due. Tommi super agente segreto vi ha beccato. E chi più ne ha più ne metta.

Io e la fotografia investigativa non abbiamo nulla a che fare, tranne per quell'istante di quel giorno di gennaio 2013. Però diventare una spia dei servizi segreti è da sempre uno dei miei tanti sogni nel cassetto. 

giovedì 23 gennaio 2014

Juergen Teller e Tommi, carramba a Venezia!!

Il 26 agosto 2012, ormai sembra passata una vita, sono stato alla pre-inaugurazione della 13a Biennale di Architettura, giornata dedicata agli addetti stampa ed esperti del settore. Io non sono né giornalista né architetto, anzi non so tirare due righe dritte, ma il mio caro amico Flavio ha recuperato due biglietti e mi sono imbucato anch'io.

Solo qualche giorno prima, discutevo a casa con Paolino di fotografia e di quanto fosse figo Juergen Teller rispetto ai colleghi fotografi che si occupano di moda.

Comunque: giornata di sole pazzesca, afa 99,9% veneziana che ti fa sentire più o meno come un bollito della nonna, un po' ti viene anche in mente che la laguna è evaporata e tutta la sua acqua in realtà sia nell'aria. Un po' speri che la giornata finisca, perchè tu sei lì per fare compagnia al tuo amico e a farti un giro, ma ripeto, di architettura non ne sai davvero nulla e credi che Chipperfield sia una nuova marca di patatine.

Quasi quasi dici a Flavio che te ne vuoi andare, ma ad un certo punto succede qualcosa che sa dell'incredibile, l'illuminazione, esci dal padiglione dedicato all'Italia e chi ti trovi con la macchina foto in mano che fotografa delle sterpaglie? Magia delle magie...Juergen Teller !! E tu cazzo non sapevi che quest'anno fosse lui il fotografo del catalogo e quindi tutta sta storia ti sembra stra magica!

Allora chiami Flavio, e le parti si invertono, lui non sa chi è Juergen (oramai è nostro amico), tu gli spieghi che è tipo un dio venuto dal nord, che anzichè avere lo scettro, ha una Contax G2 in mano ecc.. Lasci giù le tue cose e gli vai incontro, balbetti qualcosa, e dopo avergli stretto la mano, col tuo peggiore inglese gli dici che lui è il tuo fotografo preferito e provi a parlargli dei suoi che lavori preferisci.

Poi scatta il momento fotoricordo abbracciato a lui, tu sei veramente imbarazzato e lui ti stringe forte la spalla come a dirti "vai sereno ragazzo, in fondo non sono altro che un tedescone con la maglietta sudata color bordeaux improbabile, abbinata a pantaloncini da corsa dello stesso colore, calzino bianco a strisce fluorescenti e Asics probabilmente comprate all'Auchan di Londra a ventinove euro scontate, e non mi manca nemmeno la panza da birra". E allora ti senti ancora più sfigato, tu che sei lì agghindato con un paio di Volta da milanese mancato, i jeans con il risvoltino e la camicia figa, per non tralasciare il maglioncino verdino in cotone che non si sa mai che fa freddo, quando ci sono duemila gradi all'ombra.


Credo che l'emozione sia simile a quando, un mio caro amico che lavorava in enoteca ha servito Andrea Pirlo, il Natale successivo alla vittoria dei mondiali dell'Italia, che era passato a comprarsi dei vini da regalare e il mio amico in questione è esploso di gioia. Oppure quando trovavi l'ultima figurina dell'album Panini (a me non è mai capitato) che ti mancava dopo aver fatto spendere ai tuoi genitori parte importante del loro stipendio.

Una breve parentesi su Juergen Teller è dovuta.

Jurgen è bavarese figlio di liutai, e lo stava per diventare anche lui se non fosse che gli constatarono una forte allergia a dei solventi per lavorare il legno. Allora decise un po' perchè non sapeva che cacchio fare, di fare un corso biennale di fotografia. Poi capisce che in Germania non c'è modo di vivere di fotografia come la intende lui, e prende la sua valigia di cartone e si trasferisce a Londra.

Tutto il resto è storia più o meno nota, Juergen Teller è per più di un decennio il fotografo di Marc Jacobs e di tanti altri marchi importanti. Tra le sue produzioni commerciali la campagna che apprezzo di più è quella fatta per Cèline. Quella mano che spunta a sistemare il cactus nella foto destra è stupenda, non c'entra nulla, ma fa diventare una bella foto una gran foto.



Ma la cosa pazzesca di Juergen è la sua capacità di entrare a far parte del mondo dell'arte contemporanea, cosa estremamente rara per un fotografo che si occupa di moda. E questo perchè? La sua capacità di sdrammatizzare il mondo della moda è unica, rende le modelle donne normali, non i soliti manichini fighe di legno, come a dire "ragazzi rilassiamoci che stiam facendo delle fotografie e ci pagano pure, non prendiamoci troppo sul serio, di cosa stiam parlando? di vestiti?"

E poi delle serie improbabili, come quella di una notte intera passata con Charlotte Rampling e Raquel Zimmerman al Louvre a fare paragoni con la Monna Lisa e altre opere famose, e poi solo con Charlotte in albergo ad autofotografarsi entrambi nudi senza alcun imbarazzo per la differenza di età.







E ancora, una Kate Moss finalmente come una ragazza normale che va a letto dopo aver festeggiato il suo compleanno e non con la solita aria da donna impossibile con la pippa. Poi è estremamente rispettoso, non pretende, non ha aspettative dalle persone che fotografa, lui le prende esattamente come sono.


In un'intervista gli chiesero come mai si era auto-fotografato l'ano e lui rispose senza tirar fuori i soliti significati complessi da mondo dell'arte  "Vorrei solo dire che sono curioso. Parte della ragione per cui ho voluto fotografare il mio buco del culo è perché volevo vedere come fosse fatto."

Juergen Teller ha una moglie, due figli, vive a Londra ed è un super tifoso del  Bayern di Monaco.


I suoi principali lavori li trovate sul blog di un tizio che è ancora più fissato di me su Juergen Teller juergenteller.tumblr.com/ , oltre che sul sito della galleria da cui è rappresentato Lehman Maupin.

I suoi libri, naturalmente su Amazon Amazon Juergen Teller

La  foto 1 è scattata da me, la 2 da Flavio Vida
Le restanti foto sono di Juergen Teller.









martedì 21 gennaio 2014

VSCO cam, best photography app

Di applicazioni, per Iphone e Android, dedicate al ritocco fotografico ed effetti ne ho provate molte, tra cui Instagram, Retrica, Hipstamatic, Retro Camera. Sicuramente la più famosa di tutte è Instagram, che permette, oltre che la modifica dell'immagini, anche la condivisione delle stesse su Facebook e sul proprio social network dedicato. Francamente la trovo molto volgare, troppo very popular e per utenti che hanno un gusto facile. Molto volgare per le sue cornici che richiamano i bordi delle vecchie pellicole, ma con cui non hanno davvero nulla a che fare.
Per utenti che hanno il gusto facile ,perchè i filtri, mi sembrano un po' pacchiani, direi molto cinematografici all'americana, carichi di colori improbabili e sono talmente vintage e vignettati che sembrano davvero finti, anzi tolgo il sembrano.
Inutile che posti foto scattate con Instagram perchè ne avrete viste a tonnellate.

Per fortuna i ragazzi di VSCO, l'anno scorso hanno tirato fuori dal cappello magico VSCO Cam, la versione per smartphone dei famosi preset per Photoshop, Lightroom e Aperture. L'applicazione permette di fare tutte le principali modifiche di base: ritaglia in fari formati, sistema l'esposizione, contrasto ecc.. ma voglio concentrarmi sul valore dei preset. E' la prima volta da quando scatto foto dal cellulare in cui ho trovato piacere reale a "sistemare" le foto. La figata pazzesca di questa app è che i preset somigliano davvero alle nostre amate pellicole Kodak, Fujifilm, Ilford e Polaroid. Eleganti e con un sapore più "umano".

L'applicazione è disponibile per Iphone gratuitamente a questo indirizzo Apple Store per Iphone o su Google Play Store per Android . Speriamo arrivi prima o poi per gli utenti Windows Phone.

Ecco un brevissimo tutorial che ho fatto giusto per farvi vedere che, nonostante sia una app molto più professionale delle solite, è molto facile da usare.

Una volta scattata la vostra fotina, la caricate in VSCO, in alternativa potete scattarla dallo stesso, oltretutto la fotocamera della app vi permette di selezionare punto di messa a fuoco ed esposizione.


Come potete vedere la nostra foto è sotto esposta, pertanto andremo a correggerla cliccando sull'icona con il pennello e la chiave inglese.



Ora l'esposizione della nostra foto è verosimilmente corretta, ma non ci piace quindi andremo a prendere un filtro che la scalda un po'. Dopo aver provato qualche preset, ecco che scelgo il G2, mi sembra un buon compromesso.


Ta daaaa, la magia è fatta. La nostra foto ora ha un aspetto accattivante, per quanto sia una fotina tanto per fare.

Ora come è giusto che sia possiamo decidere di condividerla sui principali social network, o sulla Grid di VSCO stesso, che ormai sta diventando una community di fotografia affermata.



In conclusione, finchè non esce nulla di nuovo, secondo me questa è la app definitiva per il vostro smartphone dedicata alla fotografia.

lunedì 20 gennaio 2014

Piccolo mercato fotografico personale


Vendo bellissima Leica Minilux, compatta di lusso con favolosa ottica Summarit 40mm/2,4 . In omaggio un rullino Kodak tmax 400 bianco e nero e batteria praticamente nuova. Il tutto ad euro 180 + 9 di spedizione (pacco celere 3), o consegna a mano su Brescia. La fotocamera è in ottime condizioni, solo qualche segno d'uso sul corpo, lente e meccanismi perfetti. Contattatemi per ulteriori informazioni e altre foto.

Tra tutte le compatte a pellicola che ho usato questa Leica è sicuramente quella che a livello di qualità di immagine da maggiori soddisfazioni, una nitidezza impressionante e un contrasto da brivido. Quando avevo la Contax T2 credevo fosse il meglio, poi mi sono incuriosito di questa Leica, e la differenza l'ho trovata in quanto a qualità di lente; naturalmente parliamo di differenza minima.   Eccezionale nella qualità fotografica, ma anche da un punto di vista costruttivo, totalmente in metallo satinato comoda e solida nelle mani. Un autofocus velocissimo e infallibile, si vede che dietro ci sono i tedeschi. Un pezzo sia collezionabile che da utilizzare per foto puro street e reportage. Unica pecca secondo me: un mirino un po' piccolino poco all'altezza di un marchio come Leica. 
Infine una chicca non da poco: è stato l'ultimo modello di Leica utilizzato dal maestro Henry-Cartier Bresson prima della sua scomparsa.

domenica 19 gennaio 2014

Verso est da torre 1 a torre 5

Le cinque torri di S. Polo rappresentano il confine tra Brescia e la sua provincia a sud-est, lo si nota subito arrivando in treno da Desenzano del Garda. Ma la cosa più importante è che "contengono" 800-900 appartamenti che moltiplicati per almeno 2-3 persone, formano da sole un piccolo comune a se stante.

Sono partito a scattare fotografie dalla torre 1 - Tiziano, arrivando dal centro, fino alla torre 5 - Cimabue.
Nela loro similarità si notano alcune differenze non solo di tipo architettonico, ma anche sociali.
Torre 1 e torre 2 sono le meglio tenute e con un certo movimento di persone, nella prima un parco giochi davvero ben curato e frequentato da gente comune, nella seconda un supermercato che sembra messo lì apposta per servire gli inquilini dell'edificio. Ho notato una certa "normalità" dello scorrere del tempo, direi poca tensione.




La storia cambia con torre 3 (Michelangelo). Non ho avuto paura, ma ho percepito una certa ostilità. Il parco mi è sembrato meno frequentato rispetto a quelli precedenti e mi sono state fatte domande su come mai stessi fotografando il palazzo e mentre scattavo ho sentito sotto fondo dei ragazzi (quasi adulti) seduti su delle panchine che dicevano "dai che ci mettiamo davanti alla macchina fotografica", "dai vai tu a parlargli che sei il più grosso della compagnia" ecc..ho scattato velocemente e me ne sono andato. Inoltre il palazzo, sul lato nord è davvero mal tenuto, oltre che avere un aspetto fatiscente, si sta scrostando e si nota che la manutenzione è quasi inesistente. Vicino c'è un centro commerciale, tra i primi costruiti a Brescia, parzialmente vuoto perché le attività non riescono o non sono mai riuscite a decollare. Anche qui si nota subito che la manutenzione è pressoché inesistente, siamo quasi alla desolazione.



Con torre 4 (Tintoretto) e 5 (Cimabue) la desolazione è totale. Per entrambi ci sono due terrazze/parchi che nonostante la bella giornata non sono utilizzati. In giro nel quartiere nessuno, mi sento un po' a disagio a fotografare il disagio. La Tintoretto verrà abbattuta a breve e se ne parla anche per la Cimabue. Vennero costruite negli anni '80 per per ospitare le famiglie meno abbienti della città, entrambe progettate dall'architetto Leonardo Benevolo, ironia della sorte si chiama proprio così.




La percezione che ho avuto è che più ci si allontana dalla città e più il disagio aumenta (il classico concetto di periferia). Ma secondo me la cosa strana è che, pur le torri distando poche centinaia di metri in linea d'aria tra loro, la sensazione di povertà aumenta, come se per le prime, più vicine al centro, sia stato fatto di più che per quelle più periferiche.